mercoledì 18 febbraio 2015

SIMONA e la lunga storia d'amore (II parte)




Simona non era stupida.
Sapeva che la sua relazione con Roberto non era idilliaca.
Tutt'altro.
Da quanti anni stavano assieme, ormai? Sette? Otto?

C'erano giorni che le sembravano centinaia...

La passione era decisamente scemata, anche se il profondo affetto che la univa al ragazzo era rimasto.
Aveva deciso scientemente di tenere soffocata in un angolo quella vocina, troppo simile alla sua di quando era bambina, che le diceva cose che non voleva sentire.
Perché sì, ormai doveva fingere di non trovare frustrante l'esigenza fisica che non veniva appagata.
Il problema tra di loro, ormai, era soprattutto il sesso.

Non è che era fatto male o ce n'era poco.
Il problema era che non c'era proprio.

Simona non era certamente una ninfomane (anche se ormai sembravano andare tanto di moda, per quanto le capitava di vedere quelle poche volte che stava davanti alla televisione), né una donna particolarmente ossessionata dal lato fisico di una relazione, ma anche lei aveva le sue esigenze.

Eccheccacchio!

Amava Roberto, ma da qualche (troppo) tempo a quella parte, quanto fosse preferiva non pensarci o sarebbe stata male, non avevano più rapporti.
Se passavano la serata assieme, si ritrovavano chiusi in casa a leggere libri sul letto.
O a guardare qualche vecchio film western.
Se era Sabato, passavano prima la giornata in quel bar carino che c'era in centro città, dove giravano amici vecchi e nuovi e si poteva stare tranquilli.

Quando aveva provato a invogliarlo a fare qualcosa, lui fingeva di non vedere.
E Simona sapeva che stava mentendo: lo conosceva meglio di quanto lui conosceva se stesso.
E quelle azioni erano ormai ben collaudate.
Ma se un uomo non vuole, non puoi costringerlo, no?
Peccato.

Ma in fondo lo capiva: non avevano una casa loro, l'intimità vera c'era quelle poche volte che riuscivano ad andare fuori per un fine settimana, il lavoro li sfiancava, le prove coi gruppi diminuivano ancora il tempo da passare assieme e assorbivano ancora più energie.
Poi c'erano i concerti, i pezzi da incidere.
La spesa, le pulizie di casa.
Le bollette...
La vita di tutti i giorni, insomma.

Ma Simona non poteva pensare quanto la cosa fosse frustrante.
Anche perché, non erano certo sposati.

Un paio di volte aveva anche provato a parlarne.
Ma come fai a intavolare la conversazione?

- Scusa amore, possiamo parlare?
- Sì, cara dimmi.
- E' da un po' che tra di noi non si scopa più. Come mai? Un'altra? Guarda che basta dirlo.
- ...
- Allora sei malato? Ci sono problemi? Guarda che si può curare quasi tutto, ormai.
- ...
- Allora?
- Oh, guarda... una cinciallegra sta mangiando le molliche di pane che hai lanciato in giardino.
- Eh, almeno tu e quel giardino ne vedete di uccelli...

A quei pensieri Simona non poteva che non ridere istericamente o fingere di non averli fatti. Anche se ormai, non riusciva più a guardare con gli stessi occhi quei volatili dal petto giallo e nero e con le guancette bianche che vedeva sempre dalla finestra della sua cucina mentre facevano colazione.

Doveva concentrarsi.
Anche lei era frustrata per quella situazione.
Se dovevano essere una vecchia coppia di sposi, che almeno abitassero assieme!

Le serviva una casa sua.

Ristrutturare il vecchio appartamento di sua nonna era la soluzione a tutti i suoi sogni.
Cominciare ad avere una vita sua, lontana da bollette non pagate che non erano neanche sue.

La sua tranquillità.
La loro intimità.

Sì, decisamente.

Con l'idea di aver risolto il problema, andò da Roberto e glielo propose.
Il sorriso, però, scemò pian piano dal suo volto quando lo vide arricciare la bocca, come se l'idea non gli piacesse.
Nei fatti, lui disse di no.
Simona non riuscì neanche ad ascoltare le sue scuse (la madre? I soldi? La distanza col suo lavoro?), ma sentì sempre più tenue la sua voce, mentre quella vocetta infantile cominciava a farsi più forte nella sua testa.

Ehi, Simo! Cos'è che dice sempre ai suoi amici?
"Sono così pigro che piuttosto che mettere incinta una tipa, me ne sposo una che lo è già!"?
Che ci sia qualcosa di vero?

Simona si depresse così tanto, che decise di risparmiare ancora un po', prima di impegolarsi nell'onere di una spesa così cospicua.
In fondo, con il mantenimento della sua famiglia, non era riuscita a risparmiare poi molto...

A ripensarci, Simona avrebbe dovuto ammettere che era stato quello, il giro di volta di tutto.
Comprendendo che in fondo anche lei era stata troppo pigra.
Comprendendo che...
che...

lunedì 16 febbraio 2015

Magazzino 18 di Simone Cristicchi

E' assurdo partire con delle scusa.
Purtroppo non posso farne a meno: Rosa Scioccato nasce come blog rosa, leggero e senza pretese. 
 
E così che ho intenzione di tenerlo. E di certo non ho intenzione di cambiarlo già al 4 post.
Qualche storia da raccontare, qualche libro da consigliare.
Nulla di impegnativo.
La vita lo è già abbastanza.
 
Solo che, non me ne abbiano a male le fan di 50 sfumature di grigio, ma mentre c'è quel film al cinema, io ho preferito passare due ore (intense e senza pause) a teatro a vedere Simone Cristicchi e il suo nuovo capolavoro.
 
 

Lo spettacolo parla della tragedia degli italiani istriani, di Fiume e Dalmazia. 
O meglio.
Personalmente mi sento di dire che parla della tragedia degli abitanti di quella terra di confine, dove tutti vogliono metterci becco e tutti vogliono fare da padroni, e tutta la povera gente che ne subisce le conseguenze.
Nel loro caso dai Fascisti che eravamo che non sopportavano gli slavi e i croati, ai titini che erano che hanno voluto la prima pulizia etnica della Jugoslavia partendo proprio dai nostri connazionali che vivevano in quelle terre.
Perché, detto fuori dai denti, non è un problema delle genti, ma dei governi. E poi ci si chiede perché Il mio canto libero è vietato nelle dittature.
Non c'è retorica, in Cristicchi, ma solo senso civico.
Lo spettacolo poi, che come ho detto qui sopra è molto lungo, è altrettanto piacevole.
Questo mio commento sembra stridere con il trattato, ma vi assicuro che è così.
Forse dovrei dire scorrevole.
Gli argomenti trattati (a cui non riesco a trovare un aggettivo qualificativo adeguato) sono decisamente raccontati bene. Per quanto sia emotivamente pesante (di pungi allo stomaco ne si ricevono parecchi) non lo è percettivamente: finisce capisci che è passato così tanto tempo solo perché guardi l'orologio.
Cristicchi è intenso e coinvolgente. I bambini che gli fanno da coro (presi dalle zone dove si esibisce) non sono né eccessivi, né leziosi e danno quel pizzico che serve.
Tendenzialmente però, è il cantautore italiano che tiene banco per tutto il tempo.
 
Se volete vedere qualcosa di davvero degno di essere visto, andate a vedere Magazzino 18.
Non è tempo perso.
Per me per lo meno non lo è stato.
 
E vi assicuro, riparlerò di Magazzino 18: ho preso il libro. 
  
 

martedì 10 febbraio 2015

MICHELA e il principe azzurro (I parte)

rossetto rosso


Michela era, a detta di tutti, una bellissima ragazza.
Soprattutto, sapeva di esserlo.
Aveva lunghi e morbidi capelli rossi, grandi occhi neri e un corpo mediterraneo: piccolo e formoso.
Non era una bomba sexy, come le modelle di Victoria Secrets, ma anche lei sapeva far girare più di una testa al suo passaggio.
Le piacevano i vestiti, soprattutto quelli che sapevano valorizzare ogni curva del suo corpo, facendola assomigliare a una Barbie.
E si sa, alle bambine piccole piace giocare con le barbie, ai bambini grandi pure.

Sì, Michela amava scaturire l'interesse degli uomini, soprattutto perché non provava interesse per nessuno dei suoi spasimanti: lei apparteneva a un uomo, uno soltanto.

Giacomo.

Michela e Giacomo si erano conosciuti quando lei aveva diciannove anni.
Lui ne aveva nove in più e l'aria rude dell'uomo vero.
Non era bellissimo, tutt'altro: non era molto alto, aveva un corpo piuttosto asciutto e a dire la verità avrebbe dovuto fare più di una visita dal dentista, ma a lei non importava.
Giacomo aveva infatti quel modo di fare maschio che a lei piaceva: rude quando serviva, prepotente quando era necessario. In più, la coccolava come una bambina e la trattava come fosse la regina del mondo, la sua principessa da difendere; ovunque volesse andare, lui l'accompagnava, qualunque cosa volesse fare, lui l'accontentava, qualunque cosa volesse, lui gliela prendeva.
La viziava. E lei adorava essere viziata.
In effetti, metà del suo guardaroba era fatto da dei suoi regali. Se Michela fosse stata del tutto sincera, non avrebbe potuto dire di non aver mai dovuto sbattere le sue folte ciglia nere, per averli, ma non era mai stato particolarmente difficile: Giacomo era un uomo che amava pavoneggiarsi delle cose che aveva e lei gli apparteneva.

mercoledì 4 febbraio 2015

SIMONA e la lunga storia d’amore (I parte)


 
La rosa di Simona
 
Simona era una donna forte, indipendente e decisa, soprattutto agli occhi dei più.
Non aveva avuto una vita particolarmente facile, tutt’altro: non aveva ancora finito il liceo che si era messa a lavorare e aveva continuato a farlo da allora per mantenere la famiglia, si era occupata delle sorelle minori, della casa e delle bollette.
La vita l’aveva resa pragmatica e diretta. Un macigno, per i più.
Ma quando la si conosceva meglio, si scopriva la dolcezza morbida di un batuffolo di cotone, la pazienza infinita di una madre e il cuore vellutato come la sua voce.
E chiunque la ascoltava, non poteva fare a meno di innamorarsi della sua voce.
Era circondata da amici maschi, per lo più, e le relazioni femminili, nella maggior parte dei casi, si limitavano alle fidanzate di questi, soprattutto se si parlava dei membri del gruppo jazz con cui suonava.
Non comprendeva le sottili dinamiche di un’amicizia femminile, preferendo il comportamento diretto e meno contorto che si instaurava nei rapporti con gli uomini, tanto che gli stessi membri del suo gruppo non la consideravano una donna in senso stretto, per quanto sapessero benissimo che lo era, ma come un amico.
Lei stessa non aveva mai visto nessun membro del suo gruppo come un possibile amante e anche le gelosie delle loro fidanzate nei suoi confronti, morivano nello stesso istante in cui facevano la sua conoscenza, con il suo sguardo diretto e deciso e i modi per nulla affettati.
Francesco, il suo chitarrista, poi, era l’uomo a cui avrebbe affidato la sua stessa vita senza pensarci due volte. Era il suo migliore amico e la sua roccia. Tutti si fidavano di lui e lui non smentiva mai la stima che gli si attribuiva. Era l’uomo che più stimava e la rendeva felice sapere quanto il sentimento fosse reciproco. Forse era perché i loro due caratteri si completavano, forse era perché si conoscevano da quando erano poco più che bambini, ma dove non riusciva ad arrivare lei, priva del talento naturale della diplomazia, arrivava lui, nato per fare il venditore.
Ironicamente, l’unica fidanzata che non si era mai preoccupata della sua presenza all’interno della loro Band, era proprio quella di Francesco, mostrandosi a Simona subito in maniera aperta e amichevole, da donna amabile e socievole quale era, senza particolari pregiudizi, ma solo con la voglia di conoscere qualcuno con cui fare amicizia e legare.
Oltre che a Bianca, col quale fu impossibile non instaurare un buon rapporto, anche alcune delle altre ragazze che erano passate nella sua vita per colpa del gruppo, erano diventate delle buone amiche, tanto che Simona si ritrovò spesso ad essere oggetto della loro protezione quando un ragazzo non si comportava nella maniera che loro reputavano poco corretta. Certo, Simona non era particolarmente entusiasta all’idea di essere trattata da bambina idiota, ma non poteva comunque non essere grata della loro partecipazione sincera alle sue scivolate in campo amoroso.
Questa, a ben vedere, era la differenza tra le sue amicizie maschili e femminili: per quanto anche gli uomini tendevano a spalleggiare, rimanevano comunque un po’ ottusi e distaccati davanti a certe situazioni, mentre erano le donne che si prendevano più a cuore ogni situazione.
Per Simona, così priva di un costante supporto emotivo, era una piacevole novità.
Certo, era ben conscia che spesso quelle amicizie erano prive di un vero fondamento, ma col tempo era riuscita a trovarne alcune solide e sicure, continuando comunque a prediligere una compagnia maschile che era ben più affine alle sue corde.
Simona da quando era giovane aveva vissuto appieno ogni azione che le si presentava davanti.
E con la stessa determinazione aveva affrontato ogni sfida e, soprattutto, ogni amore, che fosse fugace e breve come la vita di un fiammifero, scoppiettante e istantaneo come un fuoco di paglia, avvolgente e costante come una coperta, o turbolento e distruttivo come un uragano.
Poi arrivò lui e le relazioni, brevi o lunghe che fossero, finirono.
Era una giovane donna single quando aveva conosciuto Roberto, molti anni prima, andando per concerti con il suo gruppo. Era un amico di amici e come lei era un musicista.
Chitarrista, per di più. E in fondo, Simona aveva un debole per i chitarristi, come tutte le donne.
Era di quattro anni più piccolo, con i suoi ventidue anni, ma non sembrava infastidito da quella differenza d’età.
Sin dall’inizio avevano sentito entrambi una certa alchimia tra di loro, piacendosi all’istante.
La conferma, Simona la trovò quando, tornando alla macchina quella sera, aveva scoperto che anche lui aveva parcheggiato in quella direzione e si erano messi subito a parlare. Andarono via da quel parcheggio quasi per ultimi: solo le persone che lavoravano a quell’evento avevano ancora le macchine lì parcheggiate.
Si erano scambiati i numeri di telefono e ben presto cominciarono a uscire.
All’inizio si erano frequentati solo per conoscersi, prendersi le reciproche misure, magari corteggiarsi un po', ma dopo qualche mese, cominciarono a fare sul serio ed entrambi concordarono nel definirsi ufficialmente una coppia.
Roberto apprezzava molto quel suo carattere deciso, che lei solitamente spiazzava gli uomini, e lei apprezzava quello del ragazzo, così tranquillo, di quella tranquillità che lei stessa in fondo cercava.
Certamente, Roberto non era un cultore del macismo, categoria maschile che solitamente preferiva, ma piuttosto possedeva una certa eleganza che a volte lo faceva risultare quasi delicato, instillandole il senso di protezione tipicamente femminile che in lei era sempre stato presente sin da piccola, quando si occupava delle sorelle minori.
Simona lo accompagnava ai concerti, lo ascoltava suonare e gli diceva dove avevano sbagliato e dove invece erano andati bene. Anche i membri della band l’ascoltavano seriamente quelle critiche: avendo un orecchio allenato e non essendo solo una fidanzata, ma una musicista, aveva il giusto orecchio per aiutarli a migliorare. Il suo modo schietto di dire tutto, poi, aveva garantito la fiducia di quel gruppo rocker.
Aveva notato che, finito il concerto, molte ragazze andavano da Roberto per chiedergli l’autografo e per civettare con lui, ma lui, fedele come un cucciolo, rispondeva cortese ma monosillabico a quelle attenzioni mentre finiva di sistemare la sua attrezzatura, per poi terminare ogni serata seduto al suo fianco e passare con lei il resto della serata.
Ai suoi concerti di Simona, invece, lui assisteva in silenzio, e quando era tutto finito le si avvicinava, facendole i complimenti e, soprattutto, raccontandole tutti commenti entusiasti di quelli che la ascoltavano ma che, intimoriti dal suo sguardo fiero, non osavano avvicinarsi a lei. A quelle parole, inesorabilmente, il suo gruppo scoppiava a ridere e aggiungeva all'elenco altri ammiratori intimoriti: in molti si erano avvicinati a loro per complimentarsi, ma la maggior parte di coloro che l’ammiravano, raramente avevano il coraggio di farlo di persona.
<< E perché mai? Mica li mordo! Soprattutto se mi fanno un complimento! >>
A quelle parole, che cambiavano sempre solo per poche sfumature, tutti ridevano.
E a quella costante della sua vita, Simona sapeva che non si sarebbe mai davvero abituata.

lunedì 2 febbraio 2015

Buongiorno a tutti,
Sono Ombra Porta, neo blogger.
Molti di voi si chiederanno come mai è nato questo (ennesimo blog) e se ne vale la pena di seguirlo.
La mia risposta è... lo seguirete solo se vi piace e... beh, l'argomento trattato è piuttosto... rosa.
PALESEMENTE rosa, direi.
Vedete, spesso, alla fine di una serata qualsiasi, accendo la televisione mentre vengo raggiunta dal mio gatto e assieme ci spaparanziamo sul divano.
Io lo coccolo un po' con una mano, mentre con l'altra prendo cerco il telecomando nascosto sotto i cuscini e, trovato, comincio con lo zapping.
Io adoro lo zapping.
Il problema è che per quanto si possa pensare che la televisione abbia lo stesso effetto di una lobotomia, la maggior parte delle volte è estremamente rilassante.
Soprattutto per una donna... romantica.
il 90% delle volte in cui mi imbatto in un telefilm o un film o... boh, fra un po' anche la pubblicità (basta vedere l'ultimo di Dolce & Gabbana, in fondo), ci si imbatte in storie d'amore, o storie dove l'amore (che anche volendo non si può non vedere come un amore romantico) è uno dei fulcri preponderanti di tutta la storia.
Avrete capito di cosa parlo, no?
  • Salvano il mondo e trovano il grande amore.
  • Scoprono chi è l'assassino e trovano il grande amore.
  • Vanno a buttare la spazzatura e trovano il grande amore.
  • Cominciano a fare la babysitter di un riccastro e trovano il grande amore.
  • Cambiano città o rotolo di carta igienica e trovano il grande amore...
E io... giovane donna essenzialmente scettica, ricomincio con lo zapping.
Tra i vari telefilm in cui la ricerca dell'anima gemella è preponderante, poi, Sex & the City è quello che, nonostante siano anni che è stato concluso, continua ad avere una certa parvenza di verità.
Io non sono mai stata particolarmente romantica, ma non posso non notare quanto le storie allucinanti siano davvero quelle più simili alla realtà.
Alla realtà mia e delle mie amiche.
E' vero che tutte noi sogniamo il lieto fine, ma spesso quello che ci propinano è talmente surreale da alienare davvero le prospettive di una donna.
Perché prima di trovare il principe azzurro, bisogna prima baciare un'infinità di rospi.
 
E' da qui che nasce l'idea di questo Blog.
Voglio riproporre (rivedute e corrette in certe sfumature) delle storie del mondo rosa che mi circonda, raccontando storie vere, senza abbellimenti, ma sperando di far cogliere che dopo una delusione, ci si deve rialzare.
Per consolare, più che illudere, tutte le belle anime femminili che cercano il vero amore.
Perché per quanto anche le più algide di noi dicano di no, sappiamo tutti che stanno mentendo (io per prima): si sa! Il cuore di una donna è rosa e cerca il lieto fine, ma il rosa è comunque un colore dalle mille sfumature.
E tutte noi continuiamo a cercare.
 
A tutti quelli che vorranno leggere, Buona Lettura.
Per tutti gli altri, io e le mie storie rimaniamo qui, sapete dove trovarci.