E' da un po' di tempo che non riuscivo a scrivere e finalmente riesco a tornare qui a scrivere.
Ho fatto le ore piccole per lavoro e in questi ultimi giorno ho dimibuito ulteriormente le mie ore di Haruki Murakami: L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio.
sonno leggendo uno degli ultimi libri di
E' stato un acquisto d'impulso.
Il primo libro che lessi fu il suo grande successo: Norvegian Wood (che all'epoca aveva ancora il secondo nome italiano: Tokyo Bluse) e che mi fece innamorare di quelle atmosfere malinconiche.
Lessi poi A Sud del Confine a Ovest del Sole che mi piacque abbastanza.
Passai a Kafka sulla Spiaggia e a Tutti i Figli di Dio Danzano.
Il mio problema è nato con La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie: sono anni che sono ferma ai prime cinquanta pagine. L'unica cosa bella, ormai, per me era solo l'unicorno della copertina.
Sinceramente convinta che ormai Murakai era perduto (tanto mi aveva inorridito la poca fluidità del romanzo) che non ho mai cominciato a leggere L'Elegante Scomparso.
Il mio problema era che arrivata la bella stagione (e più in particolare l'estate o comunque la luce), con l'arrivo dell'estate sentivo l'esigenza del genere di racconti scritti dall'autore giapponese.
Ho sofferto molto: io non leggo Banana Yoshimoto, nonchè praticamente unica autrice giapponese davvero popolare qui in Italia. Il suo solo nome mi basta per escluderla come possibile autrice. Che volete farci: ho le mie fisime.
Comunque, di recente ho prestato Norvegian Wood a una mia amica: sta scrivendo un romanzo e mi parlava del suo problema di trattare argomenti delicati come la dipartita di una persona cara. Lei non è una di quelle scrittrici che scrive cose che non conosce, ma sicuramente è una di quelle che non vuole sembrare patetica (e quindi con pathos lezioso e inutile) e quindi gli ho presentato (metaforicamente parlando) il signor Murakami.
Ovviamente con il primo libro che ho letto.
Di recente ha comprato per il suo compleanno ho deciso di comprarle A Sud del Confine, ad Ovest del sole.
Mentre ero lì, ho visto L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio e, non sto qui a raccontarvi i miei moti interiori: l'ho comprato, mentre mi chiedevo perchè cavolo avesse dato un nome così contorto al libro. Personalmente, sono arrivata alla conclusione che è stato scelto perchè sembrava filosofico (quindi molto giapponese) ma che l'autore non era riuscito a trovare nulla di meglio e così anche gli editori.
Ho fatto bene.
La storia non è la più allegra del mondo, ma chiunque legga mezza pagina di Murakami sa che è piuttosto difficile che succeda. La sua bellezza sta nel velo che scopre sulla vita che racconta e nella fluidità estrema della sua penna, oltre che della placidità in cui racconta tutto nella massima normalità.
Che dire: mi è tornata (quasi) la fiducia in Murakami.
Comincia nella maniera più esasperante che potrebbe... per un italiano.
Dice che Trukuro, a vent'anni, voleva morire. Questa drastica decisione, assolutamente ben descritta, è data dal fatto che i suoi migliori amici (praticamente un'anima in 5 corpi) gli hanno praticamente escluso dal loro gruppo. Senza spiegazioni.
Sedici anni dopo.... bla bla: leggetevi la quarta di copertina del libro.
La storia è fluida e estremamente godibile della lettura. In stile Murakami, ovviamente.
Lo stile è impeccabile: riesce a raccontare la sofferenza come se fosse una piuma. E' delicato e impalpabile come il dolore.
Un po' meno lo è stato nella scelta degli escamotage narrativi. Sinceramente, credo sapesse che non aveva una via di uscita particolarmente brillante, soprattutto per avere il suo protagonista come "nel giusto", quindi quando ha affrontato i suoi vecchi amici, lo ha fatto con la coscienza pulita.
Poi però c'è il solito stile di Murakami che può non piacere: l'autore infatti sceglie di raccontare una precisa parentesi di vita di un individuo, né più, né meno. Usa spesso qualcosa che è una particolarità, un' assenza o qualcosa che distacca il soggetto da chi lo circonda: in A sud del confine [...] lui è l'unico figlio unico nella sua classe, a parte quella che diventerà la sua migliore amica dell'infanzia e Tsukuro è l'unico che nel suo nome non ha un colore.
Non ti parla di come finirà e ti lascia spesso con un finale sospeso (tanto che lo stesso Murakami ha dovuto confermare che non avrebbe mai scritto un secondo libro sul protagonista di Norvegian Wood) e lo stesso fa con questo libro.
Personalmente a metà del libro mi sono detta "no, non sapremo mai perchè! " e a due capitoli dalla fine, sapevo che l'ultima risposta di Tsukuro noi non l'avremmo saputa.
In questo libro, inoltre, l'autore sfiora altre temi delicati che non sono esattamente nella sua zona confort, decidendo e dimostrando così di volersi sempre mettere alla prova.
Una chicca interessante? Tsukuro potrebbe essere figlio di Watanabe Tōru: è della generazione successiva, ci fai caso quando Haida (leggete il libro e scoprite chi è) racconta di come suo padre era studente durante i moti studenteschi di Tokyo... e quasi ti viene voglia di leggere Norvegian Wood per vedere se c'è un Haida che compare fugacemente... o magari il pianista Jazz.
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